Home » Centri di accoglienza straordinaria
Per questioni di privacy e sicurezza gli indirizzi delle strutture SAI e CAS sono fittizi
Nonostante la natura strutturale del fenomeno, l’Italia solo di recente ha tentato di implementare un sistema di accoglienza non improntato a una logica puramente emergenziale, che caratterizza la gestione dei flussi in ingresso fin dai primi anni Novanta. Questa logica traspare in primo luogo dal frequente ricorso alla dichiarazione dello “stato di emergenza”, a partire dagli arrivi dei cittadini albanesi sulle coste pugliesi, culminati con il celebre episodio della nave Vlora, sbarcata a Bari l’8 agosto 1991, fino alla più recente dichiarazione del governo Meloni, dell’11 aprile 2023. In secondo luogo, essa è evidente nell’evoluzione e nello sviluppo di un sistema di accoglienza emergenziale parallelo a quello ordinario. Fin dalle prime “emergenze” si struttura infatti un’accoglienza improvvisata, che fa ricorso sia all’attivazione della società civile, sia a una risposta istituzionale che ricorre all’accoglienza in tendopoli, scuole, stadi, palestre e caserme. Anche dopo la l. 189/02, che dà vita al sistema dell’accoglienza diffusa (ex Sprar, oggi Sai), il governo continua a ricorrere a centri straordinari, alla cui individuazione e gestione partecipano diversi attori: prefetture, regioni, protezione civile, enti del terzo settore ed ecclesiastici, albergatori e imprenditori di altra natura. La formalizzazione di queste strutture si ha solo con il d.lgs. 142/15, anche se la denominazione di “Centri accoglienza straordinaria” (Cas) è presente già in alcune circolari ministeriali del 2014. In particolare, l’art. 11 del d.lgs. prevede che nei casi di esaurimento dei posti dei centri di prima e seconda accoglienza, questa possa essere demandata a strutture temporanee, su disposizione del prefetto. Le strutture sono individuate dalle prefetture, sentito l’ente locale territoriale competente, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici oppure, in casi di estrema urgenza, attraverso il ricorso alle procedure di affidamento diretto. Questa scarna disciplina ha reso il sistema Cas una galassia di strutture, modelli organizzativi e servizi estremamente differenziata.
Un cambiamento importante si ha con il d.lgs. 113/18 (cd. decreto Salvini), che si pone l’obiettivo di superare un modello fondato su un “diritto di permanenza indistinto”. Di conseguenza, esso prevede che i soggetti ospitabili nei Cas in caso di temporaneo esaurimento dei posti nelle strutture di prima accoglienza siano: (a) i richiedenti protezione internazionale privi di mezzi di sostentamento; (b) i ricorrenti; (c) i titolari della protezione umanitaria che hanno impugnato la decisione richiedendo una forma di protezione maggiore; (d) i richiedenti asilo in attesa di trasferimento perché già “dublinati” in un altro stato comunitario; (e) i richiedenti asilo giunti da altri stati europei perché già “dublinati” in Italia. Sempre nel 2018, il “Nuovo schema di capitolato di gara di appalto per la fornitura di beni e servizi relativo alla gestione e al funzionamento dei centri di prima accoglienza” (d.m. 20/11/18) dispone una riduzione significativa sia delle risorse economiche destinate a tali centri, sia dei servizi da questi erogabili.
Una parziale inversione di rotta si registra con il d.l. 130/20 (c.d. Lamorgese) che tenta di restituire la centralità al “Sistema di accoglienza e integrazione” (Sai), prevedendo l’accoglienza dei richiedenti nei Cas solo in caso di indisponibilità di posti nei Cpa e solo per il tempo sufficiente al reperimento di posti nei Sai. L’art. 4 dello stesso decreto aumenta nuovamente la tipologia di servizi da assicurare in Cpa e Cas: (a) prestazioni di accoglienza materiale; (b) assistenza sanitaria; (c) assistenza sociale e psicologica; (d) mediazione linguistico-culturale; (e) somministrazione di corsi di lingua italiana; (f) servizi di orientamento legale e al territorio. L’inversione può essere definita parziale poiché all’allargamento dei servizi erogabili non corrisponde un aumento dei fondi stanziati per Cpa e Cas. Lo stesso articolo prevede che le attività elencate siano “svolte con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
A livello nazionale, è possibile fornire per il 2021 i seguenti dati sul sistema di “Centri di accoglienza straordinaria”: (a) i Cas rappresentano il 60,88% del totale dei posti disponibili nell’intero sistema di accoglienza (59.466 su 97.670); (b) nell’arco del 2021 risultano attivi 4.024 Cas; (c) i comuni che ospitano sul proprio territorio Cas sono 3.032 (su 7.901); (d) le persone migranti accolte nei Cas sono 50.495. Questi dati confrontati con quelli del sistema Sai, che nel 2021 contava circa 34.000 posti, danno la misura di come nei fatti il sistema emergenziale e straordinario rappresenti al contrario la forma ordinaria dell’accoglienza in Italia (fonte dati: Ministero dell’interno, ActionAid/OpenPolis).
L’evoluzione del numero di strutture che, negli anni, sono state adibite a Cas in Puglia rispecchia la tendenza nazionale. Pur essendo vero che nel corso del tempo vi è stata una normalizzazione dell’emergenza, con una forte predilezione per i Cas rispetto ai Sai, nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una diminuzione complessiva dei primi. Questo effetto è stato prodotto sia dalla riduzione del numero di sbarchi, che ha portato al calo complessivo del numero dei centri di accoglienza, sia dalla volontà politica dei diversi governi, che hanno costantemente affermato di voler ridimensionare il ricorso ai centri straordinari gestiti dalle prefetture. Fin dalla direttiva dell’11/10/16 il Ministero dell’Interno stabiliva per i Cas “eventualmente presenti sul territorio dei comuni aderenti alla rete Sprar” la graduale riduzione “ove possibile a strutture della rete Sprar medesima”. Questa evoluzione ha rallentato soltanto con il d.l. 113/2018 (c.d. decreto Salvini) e, più di recente, con lo scoppio della guerra in Ucraina. Di conseguenza, se sull’intero territorio italiano i posti Cas sono passati dai 125.234 del 2018 ai 59.466 del 31 dicembre 2021, in Puglia, tra il 2018 e il 30 giugno 2021, si è passati da una capienza di circa 5797 ad una disponibilità di circa 1216 posti. Sempre a livello regionale, nei primi sei mesi del 2021, secondo i nostri dati: risultano attivi 56 Cas, che hanno ospitato 936 persone su una capienza complessiva di 1216 posti letto. Su 25 comuni pugliesi su 257 insiste almeno un centro di accoglienza straordinaria (fonte dati: Ministero dell’Interno, ActionAid/OpenPolis).