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A partire dal 2015 e dalla crisi migratoria che vide in quell’anno diverse stragi in mare, la Commissione Europea, attraverso l’Agenda Europea sulla Migrazione, un documento programmatico sviluppato al fine di far fronte alla gravosa situazione, decise di istituire dei “punti di crisi” ovvero gli hotspots.
L’agenda si poneva come obiettivo: provvedere al salvataggio delle vite umane in mare; contrastare le reti criminali di trafficanti; ricollocare i migranti tra i paesi dell’Unione europea utilizzando criteri di valutazione come il PIL; investire negli accordi di collaborazione tra gli stati per impedirne la partenza; istituire «punti di crisi» anche detti hotspot.
Gli hotspot non hanno una vera e propria definizione. Dal documento della commissione si evince che sono una procedura, un metodo, uno strumento con il quale, attraverso la collaborazione tra le agenzie europee, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, Frontex, Europol e gli Stati membri in prima linea sulle rotte migratorie, Italia e Grecia, è possibile condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo alle frontiere. Nell’illustrare la finalità dell’approccio hotspot, la commissione nulla dice in merito alla disciplina giuridica applicabile, né tanto meno alle modalità effettive di realizzazione delle operazioni.
La raccolta dei dati aveva come obiettivo primario quello di classificare i migranti in ingresso in due categorie, i richiedenti protezione internazionale e i “migranti economici”, inserendo le informazioni biometriche nel sistema EURODAC e agevolare contestualmente l’applicazione del regolamento di Dublino, ovvero, il regolamento di attribuzione della competenza delle domande di asilo.
Gli obiettivi collaterali dell’agenda europea, in riferimento all’istituzione degli hotspot, era poi quello di porre fine ai movimenti secondari verso altri Stati membri e di ostacolare l’atteggiamento permissivo da parte di Italia e Grecia, che consisteva nel “lasciar passare” i migranti. In altre parole, l’agenda voleva sottolineare l’importanza per gli Stati membri sia di permettere di accedere alla procedura di asilo a coloro che lo chiedono, sia di di impedire l’ingresso alle frontiere a coloro che non soddisfano le condizioni necessarie; in base alla disciplina dell’Ue, i richiedenti asilo non hanno diritto di scegliere lo Stato membro che accorda loro protezione.
In linea con l’Agenda europea, il Ministero dell’interno, il 28 settembre 2015, adotta uno strumento denominato “Roadmap italiana”: una sorta di tabella di marcia per la gestione italiana del sistema di accoglienza, in cui si definisce il nuovo “approccio hotspot” dichiarato quale strumento di gestione dei flussi migratori di cittadini di Paesi terzi. Gli hotspots, o punti di crisi, compaiono per la prima volta in questo documento programmatico, che non è un atto legislativo. La Roadmap definisce l’hotspot «un piano volto a canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate nei confronti degli stranieri le procedure di screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento, i rilievi dattiloscopici degli stranieri.
A settembre 2015 vennero individuati quattro porti come “hotspots chiusi”, vale a dire: Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e l’isola di Lampedusa, con la previsione di attivare entro la fine del 2015 altri due porti, Augusta e Taranto. Ad oggi invece gli Hotspots sono Taranto, Pozzallo, Lampedusa e Messina. In aggiunta a questi vi è un ulteriore centro che, pur non risultando da nessun documento ufficiale, è adibito a hotspot e si trova a Pantelleria.
Non esiste ancora una norma giuridica che ne definisca i limiti, l’unico tentativo di istituzionalizzazione legislativa è stata la modifica al testo unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/98), introdotta dal decreto Minniti-Orlando del 2017, con il quale veniva inserito l’art.10 ter che disponeva di condurre lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera, interna o esterna, ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture come quelle previste dalla c.d Legge Puglia, cioè i centri di primissimo soccorso. Presso i medesimi punti di crisi la legge disponeva di effettuare le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico.
In altre parole, l’ordinamento italiano concretizza l’approccio hotspot adibendo dei luoghi già esistenti ma non determinati giuridicamente, a luoghi nei quali attivare e applicare l’approccio hotspot. Gli hotspots sono a tutti gli effetti delle aree chiuse, da cui non ci si può allontanare. Di fatto, è un trattenimento che non prevede alcun tipo di verifica giurisdizionale, si tratta di situazioni privative della libertà personale e di circolazione, nelle quali l’arbitrio della pubblica amministrazione è totale.
Per di più, oltre a un trattenimento illegittimo, quello riservato ai migranti negli hotspot è anche una violazione di accesso alla procedura di richiesta di protezione internazionale,causata delle modalità con le quali l’identificazione avviene nel centro. La raccolta delle informazioni viene effettuata attraverso la sottoposizione di un modulo chiamato “foglio notizie”, la cui compilazione avviene subito dopo lo sbarco, in assenza di mediatori o di informatori che spieghino la procedura. Nel foglio notizie, la persona identificata viene invitata a fornire la motivazione dell’arrivo in europa selezionando un’opzione, tra le possibili risposte multiple: ricerca di lavoro; fuggire dalla povertà, altro, asilo. La motivazione indicata determina la classificazione del migrante, il quale viene identificato o come migrante economico o come richiedente asilo. La qualificazione di migrante economico determina di fatto una propria violazione di accesso alla procedura di richiesta di protezione internazionale.
L’introduzione nel T.U.I dell’art. 10-ter individua, come luoghi nei quali eseguire la procedura hotspot, i centri istituiti dal legislatore con la l. 563/95 (legge Puglia), menzionati anche nella legge di recepimento della direttiva europea sull’accoglienza. La “Legge Puglia” in quell’epoca autorizzava l’istituzione, a cura del Ministero dell’interno, di tre centri dislocati lungo la frontiera marittima delle coste pugliesi per le esigenze di “prima assistenza” e contrasto all’immigrazione “clandestina”, legate all’elevato numero di sbarchi all’epoca in corso. Nacquero così le roulottopoli di Foggia e Bari, entrambe site nelle aree delle due basi militari dismesse di Borgo Mezzanone (FG) e Bari Palese, nonché il centro di prima accoglienza “Don Tonino Bello” di Otranto. Quest’ultimo, gestito sin dal 2003 dal Comune di Otranto, ha chiuso nel 2005 e ha riaperto nell’agosto 2010 per funzionare come centro di primissima accoglienza in cui lo straniero, sbarcato sulle coste pugliesi, sosta un periodo variabile tra le 24 e 48 ore, prima di essere trasferito verso una struttura attrezzata per periodi di soggiorno più lunghi. I centri di Foggia e Bari, gestiti all’inizio dalla Croce Rossa Italiana, sono nel tempo stati trasformati in strutture di accoglienza destinate ad ospitare i richiedenti asilo in attesa della definizione della loro domanda di protezione internazionale, in altre parole gli attuali Cpa (ex Cara) . Le roulotte sono state sostituite, tra 2005 e 2007,da moduli abitativi prefabbricati e una nuova struttura di accoglienza per richiedenti asilo è stata infine aperta all’interno della cinta muraria che ospita, sin dal 1999, il Centro di permanenza per il rimpatrio per i migranti irregolari in via espulsione di Brindisi Restinco.
L’istituzionalizzazione dell’identificazione di luoghi preposti per l’esecuzione della procedura hotspot non ha, comunque, avuto una conseguenza nel territorio pugliese. Infatti, l’unico hotspot attualmente presente in Puglia è quello del porto di Taranto, aperto dal 2015 a seguito della presentazione dell’Agenda Europea sull’immigrazione, quindi di fatto non rientrante nella categoria dei centri aperti in forza della legge Puglia.
A partire dal 2015 nell’hotspot di Taranto sono transitate persone provenienti non solo dagli sbarchi in mare, ma anche da altri centri di prima accoglienza presenti sul territorio italiano. Le persone transitano nell’hotspot di Taranto o come legittimati all’accesso alla procedura di protezione internazionale, in attesa di trasferimento in un centro di prima accoglienza, o come migranti economici in attesa di essere trasferiti in un Cpr per l’esecuzione dell’ordinanza di espulsione.
Attualmente l’hotspot di Taranto ospita quasi esclusivamente minori stranieri soli.