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Per questioni di privacy e sicurezza gli indirizzi delle strutture SAI e CAS sono fittizi
Nonostante il sistema di accoglienza delle persone migranti sia di recente creazione, il nostro paese è stato tra i primi in Europa a proporre un modello di accoglienza diffusa sul territorio. Questo modello è stato da più parti indicato come una best practice europea ed è tuttora assente in molti paesi alle frontiere meridionali e orientali dell’Unione.
Il modello dell’accoglienza diffusa prevede l’ospitalità delle persone migranti in progetti di piccole dimensioni, gestiti da enti locali e organizzazioni del terzo settore, che oltre ad erogare servizi essenziali, quali vitto e alloggio, forniscono accompagnamento sociale, tutela legale e percorsi individuali di inclusione e inserimento socio-economico. Grazie alla sua flessibilità e alla sua capacità di coinvolgere le comunità locali, questo modello è in grado di promuovere percorsi di integrazione, così come concepiti nei vari documenti che compongono il quadro europeo delle politiche di integrazione, ovvero come un processo bi-direzionale e mutualistico che deve essere percorso sia dalle persone migranti, sia dai cittadini degli stati membri (cfr., per tutti, i “Common Basic Principles for Immigrant Integration Policy” adottati dal Consiglio Giustizia e Affari Interni nel 2004).
La genesi dell’attuale “Sistema di accoglienza e integrazione” (Sai) è rintracciabile nel “Progetto di Azione Comune” del 1999 e nel “Programma Nazionale Asilo” (Pna) del 2000. In particolare quest’ultimo, stipulato da Ministero dell’Interno, Anci e UNHCR, può essere considerato il suo precursore diretto, in quanto definiva alcuni obiettivi principali: a) la costituzione di una rete territoriale diffusa di servizi di accoglienza; b) la promozione di misure specifiche dirette a favorire l’integrazione sociale delle persone migranti; c) la predisposizione di percorsi di rimpatrio volontario e reinserimento nei paesi d’origine; d) il coinvolgimento di enti del terzo settore.
La buona riuscita del Pna porterà, con la l. 189/02 (cd. Bossi-Fini), alla formalizzazione del Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), finanziato dal “Fondo nazionale per le politiche dell’asilo” (Fnpsa), che vede fin dall’origine coinvolgimento di attori pubblici e del privato sociale secondo una logica bottom-up. La stessa legge affidava al Ministero dell’interno l’attivazione di un Servizio centrale (poi realizzato dall’Anci e dalla Fondazione Cittalia) in grado di fornire supporto tecnico, consulenza e informazione agli enti locali coinvolti nell’accoglienza diffusa, nonché di monitorare l’andamento dell’intera rete Sprar.
In seguito, il d.lgs. 140/05, recependo la direttiva 2003/9/CE sugli standard minimi dell’accoglienza, ha specificato ulteriormente le modalità di accesso, la tipologia di servizi e i differenti ruoli degli attori dell’accoglienza, indicando nello Sprar il fulcro dell’intero sistema. Lo stesso decreto presta una particolare attenzione alle situazioni di vulnerabilità, prevedendo l’obbligo di predisporre servizi e strutture ad hoc per minori non accompagnati, persone migranti con disabilità, anziani, donne in stato di gravidanza, nuclei monogenitoriali, persone migranti che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.
Nonostante la via tracciata fin dalla fine degli anni ‘90, tra il 2008 e il 2015 si assiste ad una involuzione del sistema di accoglienza, in un’ottica nuovamente emergenziale. Il d.lgs. 142/15 formalizza l’esistenza dei “Centri di accoglienza straordinaria” (Cas), malgrado la promulgazione, solo due anni prima (luglio 2013), del “Documento di indirizzo per il passaggio alla gestione ordinaria dei flussi migratori non programmati” da parte della Conferenza unificata. Questa fase culmina nel d.l. 113/18 (c.d. decreto Salvini), che mina alle fondamenta il sistema di accoglienza diffusa. Lo Sprar viene rinominato “Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati” (Siproimi), le sue funzioni sono riconfingurate e si riduce la platea dei beneficiari. L’accoglienza diffusa non è più indicata come l’asse portante dell’intero sistema, ma piuttosto come un livello di seconda accoglienza per le persone migranti che hanno già ricevuto una forma di protezione. Per la precisione, l’art. 12 del decreto riserva l’ingresso al Siproimi ai soli titolari di protezione internazionale, ai minori stranieri non accompagnati e ai titolari di permessi di soggiorno per cure mediche, per calamità, per atti di particolare valore civile e per “casi speciali”. Vengono così istituzionalizzati due circuiti di accoglienza, distinti in base alla posizione giuridica delle persone migranti.
Con l’attuale disciplina, il sistema di accoglienza territoriale diffusa registra una nuova fase espansiva. Il d.l. 130/20 (c.d. decreto Lamorgese) gli conferisce nuova centralità e ne cambia nuovamente la denominazione in Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), aumentando nuovamente le categorie di beneficiari che possono accedervi. Nel Sai ora possono essere accolti: a) titolari di protezione internazionale; b) richiedenti protezione internazionale; c) minori stranieri non accompagnati; d) titolari di permesso di soggiorno per: protezione speciale, cure mediche, protezione sociale per vittime di violenza o grave sfruttamento, vittime di violenza domestica, calamità, sfruttamento lavorativo, atti di particolare valore civile, per casi speciali; e) neo maggiorenni affidati ai servizi sociali per il completamento del percorso di inserimento sociale (c.d. prosieguo amministrativo).
Questo allargamento non comporta tuttavia il superamento della differenziazione delle persone migranti in base alla loro posizione giuridica. L’art. 4 d.lgs. 130/20 prevede infatti due livelli di servizi erogabili: il primo livello è destinato ai richiedenti protezione internazionale e contempla prestazioni accoglienza materiale, sanitaria, sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana, servizi di orientamento legale e al territorio. Il secondo livello è riservato alle ulteriori categorie di beneficiari menzionate e comprende, oltre ai servizi del primo livello, anche quelli finalizzati all’integrazione, quali l’orientamento al lavoro e la formazione professionale.
A livello nazionale è possibile fornire per il 2021 i seguenti dati sul “Sistema di accoglienza e integrazione”: a) i progetti attivi su tutto il territorio nazionale sono 851; b) questi progetti rappresentano il 35,57% del totale dei posti disponibili nell’intero sistema di accoglienza (34.744 su 97.670); c) gli enti locali titolari di progetto sono 722; d) le persone migranti accolte nei Sai sono 42.464. Il dato relativo agli enti coinvolti è particolarmente interessante, perché dà la misura del problema principale che affligge il Sai: l’adesione volontaria da parte degli enti locali. Basti pensare che solo l’8,02% dei comuni italiani ospita un progetto sul proprio territorio (634 su 7.901) (fonte dati: Servizio Centrale Sai).
L’evoluzione del numero di strutture che, negli anni, sono rientrate nel sistema di seconda accoglienza regionale, rispecchia il dato nazionale. Grazie ad interventi normativi tesi ad allargare l’utilizzo dell’accoglienza diffusa si è assistito, in entrambi i casi, ad un incremento sia delle strutture sia dei posti disponibili. La Puglia presenta dei dati di crescita leggermente superiori al dato nazionale. Per quanto riguarda la capienza delle strutture Sai pugliesi, tra il 2020 e il 2021 vi è stato infatti un incremento dell’ 11,17% (da 3.170 a 3.524 posti), a fronte di un aumento sul territorio nazionale del 10,92% (da 31.324 a 34.744 posti). Per quanto riguarda il numero di progetti sul territorio regionale, si assiste ad un incremento più accentuato: in Italia, tra il 2020 e il 2021, i progetti aumentano del 7,18% (da 794 a 851); nello stesso periodo, in Puglia, l’aumento è del 10,78% (da 102 a 113).
A livello regionale, nel 2021, secondo i nostri dati a questi 113 progetti corrispondeva il coinvolgimento di 92 enti locali (comuni o unioni di comuni); nei primi sei mesi dell’anno, questi progetti hanno dato ospitalità a 5.876 persone su una capienza complessiva di 3.524 posti (fonte dati: Servizio Centrale Sai).