Il sistema detentivo per stranieri

I centri di permanenza per i rimpatri - Evoluzione normativa

I Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) sono strutture di detenzione amministrativa al cui interno sono trattenute persone migranti in situazione di irregolarità rispetto alle norme concernenti l’ingresso e il soggiorno all’interno di un dato Stato europeo. Il trattenimento, limitativo della libertà personale, è legittimato solo nei casi previsti dalla legge o a seguito di convalida da parte di un giudice.

Il fondamento giuridico dei Cpr in Italia risale agli anni ’80, con politiche ispirate a modelli di controllo migratorio rafforzati da normative dell’Unione Europea. Queste hanno promosso un approccio securitario comune per la gestione migratoria e il controllo delle frontiere. A livello europeo, il testo di riferimento in materia è la Direttiva Rimpatri (2008/115/CE), la quale prevede il “trattenimento” delle persone irregolari (art.15) in appositi centri di permanenza temporanea (art.16).

In parallelo con le politiche europee, anche nell’ordinamento italiano si delineano progressivamente i primi profili normativi relativi alla detenzione amministrativa. Il primo passo in questa direzione è rappresentato dalla l. 39/90 (cd. Legge Martelli), che introduce il respingimento e l’espulsione delle persone migranti in situazione di irregolarità.

Un assetto più definito della detenzione amministrativa si concretizza con la l. 40/98 (cd. Turco-Napolitano). Essa istituisce i Centri di permanenza temporanea (Cpt), prevedendo il trattenimento per un periodo massimo di 30 giorni nei casi in cui il rimpatrio delle persone migranti non sia immediatamente eseguibile.

Successivamente, una serie di interventi normativi modifica alcuni aspetti della disciplina, pur mantenendo invariata la natura detentiva dei centri. Con la l. 189/02 (cd. Bossi-Fini), il periodo massimo di detenzione viene esteso da 30 a 60 giorni, mentre l’inottemperanza all’ordine di allontanamento è qualificata come reato. Inoltre, viene prevista la possibilità di trattenere le persone richiedenti asilo nei centri di identificazione, e, qualora già destinatarie di un provvedimento di espulsione o respingimento, nei Cpt.

Un ulteriore intervento normativo è rappresentato dal cosiddetto “pacchetto sicurezza” (d.l. 92/08), che modifica la denominazione dei Cpt in Centri di identificazione ed espulsione (Cie). Successivamente, la l. 94/09 estende il periodo massimo di trattenimento da 60 a 180 giorni. Con il recepimento della Direttiva Rimpatri (l. 129/11, n. 129), il termine massimo di trattenimento è ulteriormente prorogabile di 60 giorni in 60 giorni, fino a un massimo di 12 mesi.

Nel 2014, la l. 161/14 riduce drasticamente i tempi massimi di trattenimento, riportandoli a 90 giorni. I Cie subiscono poi un’ulteriore ridenominazione con il d.l. 13/17 (cd. Minniti-Orlando), diventando Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Questo provvedimento prevede anche un ampliamento della rete dei centri, con l’apertura di nuove strutture situate preferibilmente in aree extraurbane.

Il d.l. 113/18 (cd. Salvini) modifica nuovamente il termine massimo di trattenimento amministrativo nei Cpr, riportandolo a 180 giorni. Successivamente, il d.l. 130/20 (cd. Lamorgese) riduce il periodo massimo di detenzione a 90 giorni, prorogabili di ulteriori 30 giorni per le persone migranti cittadine di paesi con cui l’Italia ha stretto accordi di riammissione. Per coloro che rifiutano di farsi identificare, il termine massimo rimane fissato a 180 giorni.

L’attuale disciplina, introdotta con il d.l. 20/23 (cd. Cutro), ha aumentato da 30 a 45 giorni il termine massimo di proroga del trattenimento nei Cpr applicabile alle persone migranti cittadine di Paesi con cui l’Italia ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri.

I molteplici interventi legislativi sui Cpr sono stati giustificati dalla necessità di contrastare l’immigrazione irregolare attraverso rimpatri e allontanamenti dal territorio. Tuttavia, l’attenzione si è concentrata prevalentemente sulla detenzione e sui tempi di trattenimento, con risultati limitati nei rimpatri effettivi: annualmente, meno della metà dei detenuti viene effettivamente allontanata.

Questa dinamica evidenzia l’inefficacia del sistema come strumento di contrasto alle migrazioni irregolari. Si solleva, pertanto, il dubbio che le reali motivazioni alla base di tali politiche possano essere di natura deterrente, mirate a scoraggiare nuovi arrivi, oppure punitive nei confronti delle persone migranti che si trovano in condizioni di irregolarità.

I posti destinati al trattenimento delle persone migranti irregolari sul territorio nazionale erano, fino al 2013, circa 1.900 dislocati in tredici centri. A seguito della chiusura di alcuni di essi, i Cpr aperti e attivi in Italia nel 2022 sono dieci, per una capienza di 1.361 posti (fonte: Report Garante Detenuti 2023) e sono così dislocati:

  • Bari (Palese);
  • Brindisi (Restinco);
  • Caltanissetta (Pian del Lago);
  • Gorizia (Gradisca d’Isonzo);
  • Nuoro (Macomer); Milano (Via Corelli);
  • Potenza (Palazzo San Gervasio);
  • Roma (Ponte Galeria);
  • Torino (Corso Brunelleschi);
  • Trapani (Milo).

Tutte queste strutture sono collocate in aree extraurbane, all’interno di fabbricati già esistenti. Spesso si tratta di ex strutture penitenziarie, come nel caso di Macomer, o ex caserme militari come per Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo, o di centri polifunzionali situati nei pressi di zone militari e aeroporti dove sono collocati anche Cpa, come nel caso di Bari Palese e Brindisi Restinco.

I Cpr sono stati frequentemente oggetto di dibattito pubblico, soprattutto in seguito alle proteste ricorrenti delle persone trattenute al loro interno. Questi eventi, spesso accompagnati da disordini, incendi e atti di autolesionismo, sono stati documentati anche nei report ufficiali del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale.

I Cpr, di fatto, operano come strutture chiuse, imponendo alle persone trattenute una condizione di privazione della libertà assimilabile a una detenzione carceraria. Tuttavia, a differenza degli istituti penitenziari, non esiste una normativa organica che garantisca controlli sistematici sulle condizioni interne, né che regoli in modo certo il diritto alla difesa, l’accesso all’informazione, la comunicazione con l’esterno o la possibilità di ricevere visite.

La gestione dei Cpr rientra nella competenza delle prefetture, che possono affidarne l’amministrazione e l’erogazione dei servizi a enti attuatori, sia profit sia non profit, attraverso bandi pubblici. Tuttavia, con il Decreto Cutro è stata  introdotta una deroga alle procedure ordinarie: in caso di grave inadempimento degli obblighi contrattuali da parte dell’ente gestore, le prefetture possono nominare uno o più commissari per la gestione straordinaria e temporanea del centro. Tale misura consente anche l’affidamento diretto della gestione a un nuovo operatore, senza previa pubblicazione di un bando pubblico.

Queste disposizioni emergenziali evidenziano le criticità strutturali nella gestione dei Cpr e sollevano interrogativi sul bilanciamento tra necessità operative e tutela dei diritti fondamentali delle persone trattenute.

La Puglia è l’unica regione italiana a ospitare attualmente due Cpr: il centro di Bari-Palese e quello di Brindisi-Restinco, operativi rispettivamente dal 1998 e dal 1999. Inizialmente, i primi Centri di Permanenza Temporanea (Cpt) della regione furono quelli di Brindisi Restinco e San Foca (LE), con una capacità di 83 e 180 posti letto. La struttura di San Foca, gestita dalla Fondazione “Regina Pacis” sotto l’egida dell’arcidiocesi di Lecce, fu al centro di gravi scandali giudiziari che ne determinarono la chiusura definitiva nel 2005. Il centro di Brindisi Restinco, inizialmente gestito dall’associazione di carabinieri in pensione “Fiamme d’Argento”, passò a una nuova gestione nel 2008 dopo un decennio di attività.

Il Cpr di Bari-Palese fu istituito nel 2006 in un’area precedentemente utilizzata come centro temporaneo per situazioni di emergenza, e dopo un breve periodo di chiusura nel 2016, fu riaperto nel 2017 con il decreto Minniti-Orlando.

Secondo i dati del 2022, il Cpr di Bari-Palese ha una capacità di 126 posti, con una storia di utilizzo come centro di espulsione prima sotto la denominazione di Cpt e poi di Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie). Nel 2022 sono transitate nel centro 627 persone, con una durata media di permanenza di 40,2 giorni e con un tasso di rimpatrio del 35,41% (222 persone).

Il Cpr di Brindisi Restinco, dopo essere stato inizialmente un Cpt per persone migranti irregolari soggette a espulsione, venne chiuso per lavori di ristrutturazione nel 2007 e riaperto nel 2008 come centro polifunzionale. La sezione detentiva del Cpr, situata all’interno del perimetro del Cpa con cui condivide alcune infrastrutture, può ospitare un massimo di 48 persone. Nel 2022 il centro ha registrato il transito di 251 persone, con una permanenza media di 60,9 giorni e un tasso di rimpatrio del 30,68% (77 persone).

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