Il sistema di accoglienza

Il sistema di accoglienza

Il sistema di accoglienza italiano si basa su obblighi derivanti da norme di rango nazionale e internazionale. A livello sovranazionale, strumenti come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948) e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (1950) garantiscono i diritti delle persone migranti, mentre l’articolo 10 della Costituzione italiana riconosce esplicitamente il diritto di asilo. Tuttavia, il riferimento centrale è rappresentato dalla Convenzione di Ginevra (1951), che, attraverso il principio di non respingimento (art. 33.1), impone agli Stati di attuare procedure per la protezione internazionale e di creare un sistema di accoglienza adeguato.

In Italia, questo sistema si è sviluppato in modo graduale, ricevendo un impulso decisivo dal quadro normativo europeo. Tra i principali strumenti figurano l’articolo 78 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Tfue), il Regolamento di Dublino (1997) e il Codice Schengen (2016), che promuovono solidarietà e condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri.

In una prima fase, la l. 39/90 prevedeva un sostegno economico limitato alle persone richiedenti asilo in condizioni di indigenza e l’istituzione di grandi centri con misure assistenziali essenziali. Successivamente, la l. 563/95 istituì in Puglia tre centri di prima accoglienza destinati a persone prive di mezzi di sostentamento e in attesa di identificazione o espulsione. Un passo significativo verso una maggiore strutturazione fu compiuto con il Piano nazionale asilo (Pna), nato dalla collaborazione tra il Ministero dell’Interno, l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR). Questo piano definì un sistema multilivello di accoglienza gestito dal Ministero dell’Interno in sinergia con i comuni.

La l. 189/02 (cd. Bossi-Fini), introdusse il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), basato su un modello di accoglienza diffusa articolato in piccoli progetti locali, finanziato dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (Fnpsa). Contestualmente, vennero istituiti i Centri di identificazione (Cid) per il trattenimento dei richiedenti asilo.

Con il d.lgs. 140/05, l’Italia recepì la Direttiva 2003/9/CE, fissando standard minimi per l’accoglienza e definendo il ruolo delle prefetture, con particolare attenzione alla tutela dei soggetti vulnerabili.

Nel 2008, il d.lgs. 25/08 ridisegnò ulteriormente il sistema: i Cid furono trasformati in Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), riconfigurati come strutture di accoglienza piuttosto che di trattenimento. Questo segnò una perdita di centralità dello Sprar e una frammentazione del sistema, con l’introduzione di nuove strutture come i Centri di accoglienza (Cda) e i Centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), successivamente sostituite dai Centri governativi di prima accoglienza (Cpa) con il d.lgs. 142/15.

Tra il 2011 e il 2014, l’aumento dei flussi migratori legato alle crisi in Nord Africa, Libia e Siria incrementò l’eterogeneità del sistema di accoglienza italiano. Durante questo periodo, furono dichiarati più volte stati di emergenza, con l’adozione di misure straordinarie. Accanto al potenziamento dei centri governativi, si formalizzò l’uso dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), già operativi dagli anni ’90 ma istituzionalizzati solo con il d.lgs. 142/15.

Lo stesso decreto tentò un riordino generale del sistema, recependo le Direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE e definendo un processo di accoglienza articolato in tre fasi:

  1. Soccorso e identificazione nei centri governativi presso i luoghi di sbarco;
  2. Prima accoglienza nei Cpa per il completamento delle operazioni amministrative;
  3. Seconda accoglienza nel sistema Sprar.

 

Nel 2018, il d.l. 113, promosso dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini, rinominò lo Sprar in Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), riducendone il ruolo centrale e limitandone l’accesso alle persone titolari di protezione internazionale, a persone minori non accompagnate e a casi speciali. Altre categorie, inclusi i e le richiedenti asilo, furono indirizzate verso i Cpa e i Cas.

Con il d. l. 130/20 (cd. Lamorgese) si assistette a una parziale inversione di tendenza. Il sistema di accoglienza diffusa Siproimi fu ridenominato Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), ampliando le categorie di persone beneficiarie e ridefinendo i servizi offerti.

L’attuale disciplina, introdotta con il d.l. 20/23 (cd. Cutro), rappresenta un ennesimo cambiamento in senso restrittivo, che ripropone in sostanza l’impianto del d.l.113/18. Le principali novità riguardano la riduzione del ruolo dell’accoglienza diffusa, ora riservata esclusivamente alle persone titolari di protezione internazionale, e il maggiore utilizzo di centri governativi e prefettizi (Cpa e Cas) per la gestione dei flussi migratori. Inoltre, il decreto limita ulteriormente l’accesso ai servizi di integrazione per le persone richiedenti asilo, concentrandosi sull’erogazione delle sole prestazioni essenziali.

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