di Alessandro Senaldi (Giurisprudenza, università degli studi di Bari “Aldo Moro”) – S.A.I. che? n.2 Ottobre 2023 (“Cooperativa sociale rinascita”)
Da 10 anni ormai, ricercatori e ricercatrici dell’università di Bari conducono attività di
indagine, attraverso l’“Osservatorio sulla detenzione e accoglienza dei migranti in Puglia”, con
l’obiettivo di costituire un punto di osservazione sul sistema di accoglienza e sui centri di detenzione
presenti nella nostra regione. All’interno di tale progetto ho svolto tra il ’21-’22 una ricerca sui Sai
pugliesi, di cui credo sia giusto – data la fondamentale collaborazione della cooperativa Rinascita –
condividere in questa sede alcuni elementi salienti.
Dal corpo centrale della ricerca, composto da 62 interviste svolte con lavoratori, lavoratrici
e ospiti dei progetti Sai, emergono a mio avviso tre questioni principali. Due riguardano elementi
esterni al sistema di accoglienza, mentre una terza concerne proprio il Sai.
Una prima questione attiene l’accesso ai servizi e la tutela dei diritti delle persone migranti.
Tempi di attesa e burocratizzazione eccessivi, personale pubblico insufficiente e poco formato,
mancanza di mediatori e mediatrici, sono le cose maggiormente lamentate. Occorre perciò un
intervento dei vari livelli di governo per eliminare queste inefficienze, in quanto il loro permanere è
un ostacolo a qualsiasi percorso integrativo. Ovvio che ciò preveda maggiori investimenti di spesa
pubblica, ma è il caso di ricordare che la tutela dei diritti ha sempre un costo economico.
Seconda questione che emerge, in tutte le province della regione, è la mancanza di case in
affitto in grado di garantire a chi esce dal sistema di accoglienza la permanenza sul territorio. A dire
il vero, questa difficolta riguarda anche la popolazione locale ed è causata da tendenze in atto in
molte zone d’Italia, come la turistificazione e l’innalzamento degli affitti. Tuttavia, essendo il
possesso di un alloggio collegato a residenza e documenti, per le persone migranti trovare una
soluzione al problema diventa ancor più impellente, soprattutto quando già si è speso – in termini
economici, di tempo, emotivi e lavorativi – sulla loro integrazione territoriale. Anche in questo caso
per risolvere la questione è auspicabile una maggiore collaborazione tra società civile, popolazione
residente e amministrazioni pubbliche, in quanto essa incide direttamente sulla dignità e la qualità
della vita delle persone migranti.
Il terzo elemento, il più importante, è l’impatto positivo che il “Sistema di accoglienza e
integrazione” ha sul nostro territorio. Esso è ormai riconosciuto e apprezzato a livello di best practice
europea, ma in Puglia rappresenta la cura di molti mali. Da un lato crea lavoro, essendo circa 1300
coloro che lavorano nei Sai in regione, dall’altro lato fa girare l’economia, per effetto
dell’occupazione creata e perché i Sai spendono (e tanto) sul territorio. Ma, soprattutto, contrasta
lo spopolamento del meridione, sia facendo restare o richiamando autoctoni, sia provando a fare
rimanere le persone migranti. Questo impatto positivo merita allora di essere incrementato, magari
rendendo obbligatoria – quantomeno a livello regionale – la creazione di Sai in ogni comune. In
quanto al netto dei vari problemi che lo affliggono, il Sai non è utile solo alle persone migranti che
hanno la fortuna di accedervi, ma serve soprattutto a noi pugliesi, che in termini economici, sociali,
intellettivi e sentimentali abbiamo solo da guadagnarci.